Erasmo da Rotterdam, in latino Desiderius Erasmus Roterodamus (Rotterdam, 27 ottobre 1467 – Basilea, 12 luglio 1536), è stato un teologo, umanista, filosofo e saggista olandese. Firmò i suoi scritti con lo pseudonimo di Desiderius Erasmus, la sua opera più conosciuta è l’Elogio della follia, ed è considerato il maggiore esponente del movimento dell’Umanesimo cristiano.
Ammiratore di Lorenzo Valla, venne influenzato nella sua formazione anche dal movimento religioso della Devotio moderna (che significa letteralmente “Devozione moderna” ossia “religiosità di nuovo tipo”), che, diffuso nei Paesi Bassi da Geert Groote nel XIV secolo, assunse come modello diretto della vita quotidiana la vita di Cristo e sostenne la lettura personale della Bibbia.
Le informazioni sulla famiglia e sulla prima giovinezza di Erasmo si possono dedurre solo da scarsi indizi sparsi nei suoi scritti. Nacque a Rotterdam o a Gouda, nei Paesi Bassi, allora territorio del Ducato di Borgogna, il 27 ottobre 1467 dalla relazione tra Margherita, una donna di Gouda figlia di un medico, e un prete di nome Geert, i quali avevano già avuto qualche anno prima un altro figlio, Pieter. Anche se le convivenze più o meno mascherate di preti con donne erano relativamente diffuse, tale circostanza fece però sì che Erasmo non amasse parlare delle proprie origini.
Battezzato con il nome di Erasmo, adottò in seguito il secondo nome di Desiderio. Fece i primi studi a Gouda e all’incirca dal 1476 frequentò la scuola capitolare di San Lebuinus a Deventer, dove apprese soprattutto la lingua latina e la retorica. Quella scuola, definita da Erasmo ancora barbara, solo alla fine del suo soggiorno fu retta dall’umanista Alexander Hegius, ed Erasmo ebbe l’occasione di ascoltarvi una volta il famoso Rudolf Agricola.
Dopo la morte dei genitori per peste nel 1483, i tutori di Erasmo e Pieter, che speravano che i due giovani prendessero i voti monastici, li mandarono a studiare in una scuola dei Fratelli della vita comune a ‘s Hertogenbosch, da dove tornarono a Gouda dopo due anni, a causa di una nuova epidemia di peste. Pieter si fece frate nel convento di Sion, vicino a Delft, e poco dopo, nel 1487, Erasmo entrò nel convento agostiniano di Steyn, nei pressi di Gouda. In realtà, Erasmo, si pentirà grandemente dall’aver abbracciato la vita monacale. Egli, difatti, fu convinto dai suoi tutori a farsi monaco. Nel monastero di Steyr, Erasmo si legò con intensa amicizia al suo compagno di cella, Servatius Rotger, di poco più giovane, che divenne in seguito priore di quel convento: «Io ti amo più dei miei occhi, della mia anima, insomma più di me stesso», e «Tu conosci la mia pusillanimità: se non ho nessuno su cui appoggiarmi e riposare, mi struggo in lacrime e prendo a noia la vita», gli scriveva in lettere dove l’eccesso del sentimento si univa all’amore delle citazioni classiche. Molti anni dopo, riflettendo sul suo passato, Erasmo scriveva che «la gioventù suole concepire fervide simpatie verso alcuni compagni». I legami di affetto e di intimità nelle amicizie maschili erano del resto molto frequenti nell’età rinascimentale e i toni usati da Erasmo non provano che egli fosse animato da desideri erotici. Non risulta nessuna accusa di omosessualità mossagli durante la sua vita.
Poco alla volta, alla figura dello studente sentimentale subentrò quella del latinista che discorre di letteratura e dà consigli di stile. In una lettera all’amico Cornelius Gerard[10] egli mostrò di aver acquisito la conoscenza di tutti i maggiori autori classici latini, di Agostino, di Gerolamo, di umanisti italiani, tra i quali spicca Lorenzo Valla, le cui Elegantiae erano per lui un modello di bonae litterae moderne.
Ma se nel convento accresceva la sua istruzione, non progrediva l’affezione per la vita monastica. Nel carteggio di quel periodo non vi è traccia di argomenti religiosi e vi è insofferenza per i suoi superiori, che non comprendono e frenano la sua passione per la poesia. Nella sua prima opera, tuttavia, una Lettera sul disprezzo del mondo (De contemptu mundi), scritta intorno al 1489, egli loda la vita solitaria dei monaci come mezzo per realizzare l’ideale umanistico della formazione di uno spirito eletto, pur non giungendo mai ad esaltare il ritiro conventuale quale espressione di una compiuta vita cristiana.
Con tutto ciò, il 25 aprile 1492 fu ordinato canonico agostiniano a Steyn, ma già nel 1493 colse l’occasione per lasciare il convento per mettersi al servizio del vescovo di Cambrai, Hendrik van Bergen (1449-1502), il quale aveva necessità di un segretario che fosse buon conoscitore del latino. Erasmo non fu però soddisfatto della nuova sistemazione che lo costringeva a frequenti viaggi per i Paesi Bassi, sottraendo molto tempo ai suoi studi prediletti. Fu così che nel 1495, con il consenso del vescovo e con un modesto sussidio, si recò a studiare presso l’Università di Parigi, che era allora la sede principale dell’insegnamento scolastico.
Erasmo rimase a Parigi fino al 1499. Si stabilì dapprima nel Collège de Montaigu, ma presto la dura disciplina e il pessimo alloggio lo convinsero a trasferirsi in una pensione per studenti, arrotondando il magro stipendio del vescovo con lezioni private di latino. Per le necessità del suo lavoro di precettore scrisse alcuni manuali e cominciò a raccogliere una serie di proverbi e di forme idiomatiche latine destinate a grande successo, gli Adagia.
Intendeva laurearsi in teologia, ma non riuscì nello scopo. Certamente rimase deluso dei suoi professori e della teologia scolastica deteriore che veniva insegnata, fondata su Duns Scoto: «se tu vedessi Erasmo seduto tra quei santi scotisti, con la bocca aperta, ad ascoltare la lezione che il professor Grillardus tiene dall’alto della sua cattedra! Se tu lo vedessi, con la fronte aggrottata, con gli occhi sbarrati e i lineamenti tesi!», scrisse allora, e qualche anno dopo: «arzigogoli e sottigliezze sofistiche, concepiti da ignoranti e attaccabrighe: nascono liti su liti e noi, molto compresi, disputiamo su questioni di lana caprina e solleviamo problemi quasi insopportabili per orecchie pie». Erasmo non cesserà di sottolineare la lontananza delle loro stultae quaestiones dalla prudenza e dalla sobrietà di spirito dei Padri della Chiesa, della quale ammirava e venerava talmente «l’ordine dei teologi, che solo ad esso diedi il mio nome, e solo in esso volli essere annoverato, benché la modestia mi vieti di fregiarmi di un titolo così elevato, in quanto non ignoro quali doti di sapere e di vita si richiedano per il nome di teologo».
A Parigi fu in contatto con Jan Standonck (1454-1504), direttore di Montaigu, e con un amico di questi, Jan Mombaer (1460-1501), entrambi seguaci della Devotio moderna, movimento religioso che Erasmo aveva già conosciuto a Steyn e il cui influsso su Erasmo è stato sopravvalutato.[16] Del resto, giudicò il Rosetum exercitiorum spiritualium scritto da Mombaer «nient’altro che cardi e loglio», e nel colloquio Del mangiar pesce denunciò «la vera e propria crudeltà verso il prossimo» dello Standonck. Apprezzò invece Robert Gaguin (1433-1501), uno dei maggiori umanisti parigini dell’epoca, e si fece un buon amico nell’umanista italiano Fausto Andrelini, già poeta laureato a Roma e che anche in Francia aveva ottenuto un grande successo nel campo delle lettere latine, tanto da essere nominato poeta regio da Carlo VIII.
Nell’estate del 1499 lasciò Parigi per l’Inghilterra, per diventare precettore del giovane William Blount, quarto barone di Mountjoy, che sarà poi maestro del principe Enrico. Grazie alle conoscenze di lord Mountjoy, Erasmo venne in contatto con molti esponenti dell’aristocrazia, con Tommaso Moro (1478-1535), con William Grocyn (1446-1519), con Thomas Linacre (1460-1524). Si compiaceva di vedere come in Inghilterra germogliassero «ovunque abbondanti i semi della scienza antica», come scrisse il 5 dicembre all’amico Robert Fisher.
A Londra fu presentato al principino Enrico e, stabilitosi a Oxford, conobbe anche il teologo John Colet (1466-1519), del quale ascoltò con grande interesse le lezioni sulle lettere di san Paolo. Si è sostenuto che il Colet abbia esercitato un influsso decisivo su Erasmo, spingendolo a quell’interesse filologico per la Bibbia che è centrale nella sua attività di studioso. In realtà John Colet non conosceva il greco e il fascino che egli esercitò sull’umanista olandese si deve probabilmente soprattutto alla qualità del suo carattere personale, come lo stesso Erasmo scrisse ricordando il Colet.
Dopo sei mesi, nel gennaio del 1500, si imbarcò a Dover con una dote di venti sterline per proseguire gli studi, che gli fu confiscata dall’ufficiale di dogana. Erasmo riapparve a Parigi con sei angeli d’oro, del valore dieci volte più basso. Il colpo del fato rimase impresso nella sua mente per lungo tempo.[23] Il viaggio fu molto movimentato: dopo il sequestro alla dogana di Dover, due briganti tentarono di rapinarlo in Francia. Il bisogno di guadagnare rimase per molti anni assillante ed egli dovette più volte rivolgersi a diversi benefattori sparsi tra i Paesi Bassi, l’Inghilterra e la Francia. Era già ben consapevole del suo valore se, chiedendo all’amico Jacob Batt di intercedere presso la ricca mecenate Anna van Borsselen, scriveva nel 1500 che «con i miei scritti renderò a questa gentilissima signora più onore di tutti gli altri teologi da lei protetti. Mentre essi predicano banalità effimere, quello che scrivo io è destinato a durare. Quegli ottusi chiacchieroni si possono ascoltare in questa o quella chiesa, mentre i miei libri vengono letti da latini, da greci, da tutti i popoli della terra. Di tali ottusi teologi se ne trovano in abbondanza, uno come me non lo si vede da secoli».
Gli Antibarbari
Tra la fine dell’incarico presso il vescovo e il suo arrivo a Parigi, Erasmo terminò di scrivere l’Antibarbarorum Liber, un dialogo nel quale egli affronta il problema della convivenza della cultura classica con la fede cristiana. I motivi della decadenza dell’antica cultura sono addebitati al prevalere, nella religione cristiana, di un’ostilità pregiudiziale nei confronti dell’eredità classica, spesso senza nemmeno conoscerla realmente; i teologi scolastici l’hanno giudicata per lo più pericolosa per la fede, e altri hanno ritenuto che per vivere davvero cristianamente fosse necessario coltivare non le lettere, ma la virtù della semplicità.
È così avvenuto che «religione e cultura in quanto tali non riescono a vivere in armonia nel modo giusto», poiché «la religione senza le bonae litterae comporta in ogni caso una certa pesante ottusità», mentre «i conoscitori delle litterae hanno una cordiale avversione della religione». Poiché Erasmo ritiene che nella cultura antica vi sia il presentimento del prossimo annuncio cristiano, una conciliazione tra fede e cultura classica è tuttavia possibile, come già Agostino e Gerolamo avevano dimostrato, ma ora è l’arroganza dei teologi moderni a renderla problematica.
Gli Adagia
Nel 1500 l’editore parigino Jean Philippe pubblicò i suoi Adagiorum collectanea, una raccolta di 818 proverbi latini e modi di dire filologicamente commentati. La raccolta si amplierà con le successive edizioni: quella del 1505 ne contiene 838, l’edizione veneziana di Aldo Manuzio, del 1508 – a partire dalla quale Erasmo comincia a inserire numerose citazioni greche – ne contiene 3.260 e porta il titolo Adagiorum chiliades che sarà quello definitivo anche nell’ultima edizione del 1536, pubblicata con i tipi dell’editore di Basilea Johan Froben e contenente 4.151 proverbi.
I più citati, tra i latini, sono Cicerone, Aulo Gellio, Macrobio, Orazio, Virgilio; tra i greci, Aristofane, Aristotele, Diogene Laerzio, Luciano, Omero, Pitagora, Platone, Plutarco, Sofocle, la Suda. Gli autori cristiani – Agostino e Girolamo – o i passi biblici sono relativamente meno presenti, mentre non mancano autori rari come Michele Apostolio, Diogeniano, Stefano di Bisanzio, Zenobio.
Erasmo aveva infatti iniziato a studiare il greco solo dal 1500, comperandosi scritti di Platone e pagandosi un insegnante, e nello stesso tempo si dedicava allo studio di Gerolamo, di cui possedeva tutte le opere. La conoscenza del greco gli era indispensabile per affrontare l’impegno maggiore, quello della Bibbia e della teologia: «io credo che sia il colmo della follia anche solo accennare a quella parte della teologia che tratta in particolare del mistero della salvezza, se non si è padroni anche del greco», scriveva nel 1501, e tre anni dopo scriveva di trovarsi «sotto l’incantesimo del greco», deciso a dedicare la vita allo studio della Scrittura.
L’Enchiridion
Già scritto nel 1501 per Johann Poppenreyter, un armiere della corte di Borgogna, il quale si fece dell’opuscolo quel che Erasmo si «fece della spada ricevuta in cambio per omaggio», cioè nulla, l’Enchiridion militis christiani fu rielaborato da Erasmo nel 1503 e pubblicato ad Anversa dall’editore Dirck Maertens nel febbraio del 1504 nelle Lucubratiunculae, una raccolta di brevi scritti di diversi autori. L’Enchiridion fu edito come opera a sé dallo stesso Maertens nel 1515 a Lovanio ed ebbe una larga diffusione con diverse traduzioni: la prima traduzione italiana, a opera di Emilio dei Migli, apparve a Brescia nel 1531. È da notare che, per la ristampa del 1518 dell’editore Johann Froben di Basilea, Erasmo scrisse un’introduzione nella quale difendeva Lutero dagli attacchi cui era soggetto dopo l’esposizione delle sue Tesi.
Enchiridion significa manuale o anche pugnale e lo scopo del libro, come dichiara l’autore, è prescrivere un modello di vita cristiana. Il cristiano è concepito come un soldato che deve combattere per vivere felicemente nel mondo: egli possiede due armi, la preghiera e la conoscenza di sé. In quanto essere naturale, egli appartiene a questo mondo, ma egli è anche un essere spirituale, e deve pertanto innalzarsi al mondo dello spirito. Citando infatti il passo di Giovanni «è lo spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla», Erasmo commenta che «a tal punto non giova, che la carne è mortifera se non conduce allo spirito». E anche Paolo «vuole che ci fondiamo sullo spirito che è la fonte della carità e della libertà».
Nella visione di Erasmo del cristianesimo, «l’uomo si pone davanti a Dio come individuo singolo, e segue solo la voce di Dio e della propria coscienza […] È la via verso l’interiorizzazione. Il dato oggettivo e insignificante, quello istituzionale, non serve […] quello che conta veramente è solo il cuore, la disposizione individuale». Con l’Enchiridion, «la parola d’ordine della libertà evangelica è lanciata. E sebbene in questa prima fase essa sia una formula più che una dottrina, tuttavia fin da ora la si trova strettamente associata alla religione dello spirito. La libertà evangelica è il vertice dello spiritualismo di Erasmo, il risvolto positivo della sua battaglia contro l’esteriorità delle cerimonie».
Quel che Erasmo intendeva colpire erano comunque gli eccessi di tali cerimoniali, non le pratiche in sé. Sono attestate ad esempio le sue esperienze di pellegrino al santuario di Nostra Signora della Santa Casa a Walsingham, o una preghiera di ringraziamento in onore di Santa Genoveffa, da lui composta per averlo fatto guarire da una malattia.
L’Elogio della Follia
(titolo originale in latino: Moriae encomium; in greco: Μωρίας ἐγκώμιον [Morias enkomion]; in olandese: Lof der Zotheid) è un saggio scritto in latino da Erasmo da Rotterdam nel 1509 e pubblicato per la prima volta nel 1511. L’opera fu redatta e completata in prima stesura nel giro di una settimana, mentre Erasmo soggiornava con Tommaso Moro nella residenza di quest’ultimo a Bucklersbury. L’Elogio della follia è considerata una delle opere letterarie più influenti della moderna civiltà occidentale.
Erasmo dedica l’opera proprio al suo amico Tommaso Moro e gioca sul doppio significato del titolo Moriae encomium, che potrebbe essere tradotto anche come “Elogio di Moro” (l’explicit è: “Finis Moriae in gratiam Mori”). Nella dedica a quest’ultimo, Erasmo da Rotterdam sottolinea il carattere satirico del saggio, nato durante un periodo di malattia e riposo forzato, e volto a suscitare il riso degli amici. L’opera non era infatti destinata alla pubblicazione e lo stesso Erasmo rimase sbalordito dal successo ottenuto. Il libro fu subito ristampato più volte e tradotto in francese e tedesco. Dopo la morte di Erasmo ne seguì pure un’edizione in inglese.
Il pensiero umanistico e riformatore di Erasmo
Al centro dello spirito innovatore con cui Erasmo intendeva riformare la Chiesa vi erano da un lato i valori del mondo classico, dall’altro la riscoperta del cristianesimo delle origini. Egli cercò sempre una sintesi tra queste due visioni della vita, sintesi che del resto era già al centro dei propositi dei filosofi rinascimentali e neoplatonici, come ad esempio Niccolò Cusano, Marsilio Ficino e Pico della Mirandola. Nel tentativo di conciliare l’humanitas classica con la pietas cristiana, egli partiva comunque da posizioni meno dottrinali e più attinenti all’aspetto della condotta pratica.
In ossequio all’ideale dell’humanitas, cioè della greca “filantropia” (l’amore per l’umanità), Erasmo credeva nel rispetto della dignità dell’uomo[80], il cui riconoscimento passa per la concordia e la pace, da realizzare con l’uso sapiente della ragione. Richiamandosi a Seneca, Cicerone e Agostino, condannava le varie forme di violenza e di prevaricazione dei potenti sui deboli, deprecando le torture e la pena di morte.
Riguardo invece al sentimento della pietas, che per Erasmo costituisce il nucleo centrale del cristianesimo, era convinto dell’importanza di una fede radicata nell’interiorità dell’animo. Le pratiche esteriori della vita religiosa secondo Erasmo non hanno valore se non sono ricondotte alle virtù essenziali del cristiano, cioè l’umiltà, il perdono, la compassione e la pazienza. Predicò una tolleranza religiosa che facesse a meno di cacce all’eretico e di aspre contese critiche e dottrinali.
Per riformare e purificare la vita della fede, Erasmo elaborò quindi un progetto generale di riforma religiosa fondata su un’educazione culturale, volta a porre rimedio ai maggiori pericoli da lui paventati, che erano principalmente:
il decadimento morale del clero e l’ostentata ricchezza dei vescovi;
l’esplosione di interessi nazionalistici e particolaristici tali da poter frantumare l’unità dei cristiani;
una teologia scolastica che gli sembrava impaludata in questioni inutili e distanti dalla prassi cristiana.
Erasmo si impegnò soprattutto per diffondere il sapere dei classici, tramite l’eloquentia (ovvero l’arte di persuadere), e per depurare la Bibbia dalle incrostazioni medievali rendendola accessibile a tutti, tramite un lavoro di critica filologica.
Erasmo e la riforma luterana
La Riforma di Martin Lutero – che tradizione vuole prenda avvio il 31 ottobre 1517 con l’affissione sulla porta della chiesa di Wittenberg, com’era uso a quel tempo, di 95 tesi in latino riguardanti il valore e l’efficacia delle indulgenze – mise a dura prova il carattere di Erasmo. Fino ad allora il mondo aveva riso della sua satira, ma pochi avevano interferito con le sue attività.
Le tensioni erano giunte a un punto tale che pochi avrebbero potuto sottrarsi al nascente dibattito, non certo Erasmo che era proprio al culmine della propria fama letteraria. Il doversi per forza schierare e la partigianeria erano contrarie sia al suo carattere sia ai suoi costumi. Nelle sue critiche rivolte alle “follie” clericali e agli eccessi della Chiesa egli aveva sempre tenuto a precisare di non volere attaccare la Chiesa come istituzione e di non essere mosso da inimicizia nei confronti del clero.
Erasmo condivideva, in effetti, molti aspetti delle critiche di Lutero alla Chiesa cattolica, ad esempio nei confronti delle indulgenze e dei formalismi esteriori del clero, come pure sulla necessità di un ritorno allo spirito originario del cristianesimo. Sarà invece il punto centrale della dottrina luterana (quello che negava l’esistenza del libero arbitrio) a tenere divisi i due personaggi. Erasmo aveva il massimo rispetto per Martin Lutero e, a sua volta, il riformatore manifestò sempre ammirazione per la superiore cultura di Erasmo. Lutero sperava di potere collaborare con Erasmo in un’opera che gli sembrava la continuazione della propria.
Erasmo, invece, declinò l’invito ad impegnarsi, affermando che se avesse seguito tale invito, avrebbe messo in pericolo la propria posizione di guida di un movimento puramente intellettuale, che riteneva essere lo scopo della propria vita. Soltanto da una posizione neutrale – riteneva Erasmo – si poteva influenzare la riforma della religione. Erasmo rifiutò dunque di cambiare confessione, ritenendo che vi fossero possibilità di una riforma anche nell’ambito delle strutture esistenti della Chiesa cattolica.
A Lutero tale scelta parve un mero rifiuto ad assumersi le proprie responsabilità motivato da mancanza di fermezza o, peggio, da codardia.
Fu allora che Erasmo – contrariamente alla sua natura – prese posizione per due volte su questioni dottrinalmente controverse.
La prima volta fu sul tema cruciale del libero arbitrio. Nel 1524 con il suo scritto De libero arbitrio diatribe sive collatio egli satireggiò la dottrina luterana del “servo” arbitrio. In ogni caso nella sua opera egli non prende una posizione definitiva, ma ciò agli occhi dei luterani rappresentava già una colpa. In risposta Lutero nel 1525 scrisse il De servo arbitrio, nel quale attaccava direttamente Erasmo tanto da affermare che quest’ultimo non sarebbe stato neppure un cristiano.
Mentre la Riforma trionfava, iniziarono però anche quei disordini sociali che Erasmo temeva e che Lutero riteneva inevitabili: la guerra dei contadini, l’iconoclastia, il radicalismo che sfociò nei movimenti anabattisti in Germania e Paesi Bassi. Erasmo era felice di essersene tenuto lontano, anche se, in ambienti cattolici, lo si accusava di essere stato il fomentatore di tali discordie.
A dimostrazione della sua lontananza dalla Riforma, quando nel 1529 Basilea adottò le dottrine riformate, Erasmo si trasferì nella vicina città imperiale di Friburgo in Brisgovia, rimasta cattolica. A Friburgo egli continuò la sua instancabile attività letteraria terminando l’opera più importante dei suoi ultimi anni: l’Ecclesiaste, parafrasi dell’omonimo libro biblico (detto pure Qoelet, o il “Predicatore”), nel quale egli sostiene che la predicazione è l’unico dovere veramente importante della fede cattolica.
La seconda grande questione alla quale Erasmo prese parte fu quella della dottrina dei sacramenti e, in particolare, del valore dell’eucaristia. Nel 1530 Erasmo pubblicò una nuova edizione del testo ortodosso risalente all’XI secolo di Algerius contro l’eretico Berengario di Tours. Ad esso aggiunse una dedica, nella quale confermava la propria fede nella dottrina cattolica della presenza reale di Cristo nell’ostia consacrata. In tal modo egli smentì gli antisacramentali guidati da Giovanni Ecolampadio di Basilea, i quali citavano Erasmo a sostegno delle loro tesi scismatiche.